Testimonianza di don Lucio Nicoletto

 

Adolescent di Duque De Caxias

Adolescenti di Duque De Caxias

Intervista rilasciata alla Difesa del popolo del 3 aprile 2011.

Comincia la quarta settimana della Quaresima di fraternità, che l’ufficio missionario diocesano, ponendo al centro della riflessione il vangelo del cieco nato, dedica all’incontro e all’importanza delle relazioni, con Dio e con i fratelli.   
Don Lucio Nicoletto, originario della parrocchia di Ponso, è il missionario fidei donum della diocesi di Padova che ci aiuta a leggere l’impegno e la Parola della settimana con gli occhi della missione. Prete dal 1998, dopo l’esperienza come vicario parrocchiale a Selvazzano Dentro e, in seguito, come animatore vocazionale diocesano, don Nicoletto da dicembre 2005 è a servizio della diocesi di Duque de Caxias, alla periferia di Rio de Janeiro come rettore del seminario diocesano e responsabile della pastorale vocazionale e giovanile della diocesi brasiliana.
Nel suo servizio le è capitato di incontrare persone che “riacquistano la vista”, cominciano a vedere le cose con gli occhi di Dio?
«Il lavoro pastorale con i giovani, in una realtà metropolitana come quella della periferia di Rio de Janeiro, è un’esperienza che immerge in dinamiche complesse e allo stesso tempo affascinanti. Rio de Janeiro, la Città Meravigliosa, ospita scenari di gioventù che con difficoltà si riesce a dimenticare, soprattutto quando ci si addentra da una parte in luoghi e fatti che hanno a che fare con la vita e la morte, la violenza e lo sfruttamento, la voglia di ricavarsi un pezzettino di felicità nel “puzzle” di fatti e misfatti della mala del luogo, e nell’altra nel rischio di perdere tutto, vita compresa, dietro a un proiettile che regola conti e mette a tacere pericolose verità. Il grande interrogativo che serpeggia continuamente fra di noi cristiani cattolici e mette in luce una grande preoccupazione “globalizzata” è sempre più pressante: cosa significa annunciare il vangelo ai giovani, oggi, rendendoli protagonisti del proprio futuro e pensarlo insieme a Dio?».
Che risposta vi date? E le esperienze hanno risposto in qualche modo?
«In uno dei tanti incontri che proponiamo ai giovani, con la comunità dei giovani seminaristi, abbiamo incontrato Bruno, adolescente di diciassette anni che da quest’anno ha accolto la proposta di vivere l’esperienza della comunità vocazionale. Quel giorno andammo a visitare una comunità di Piccole sorelle di Charles de Foucauld, che lavorano in una delle comunità della grande discarica che abbiamo in diocesi, la discarica di Gramacho. Un popolo di senza identità che ogni giorno fin dalle prime ore del mattino si butta fra le montagne di spazzatura per riuscire a raccogliere e a selezionare vari tipi di materiale (plastica, vetro, materiale metallico) e riuscire così a guadagnare di che vivere. Quel giorno abbiamo conosciuto un po’ della quotidianità di questo gruppetto di religiose, della loro scelta di vivere per e con i poveri, sempre a partire dalla Parola di Dio… Alla sera, tornando a casa, c’era un inaspettato silenzio in pulmino. Prima di salutare i giovani ho voluto rompere il silenzio chiedendo a Bruno cosa gli avesse suscitato l’incontro. Lui mi ha guardato e detto: “Sai, padre… Non so se ho capito tutto di quello che volevano dirci le sorelle. Ma è stato come se a un certo punto avessi cominciato a vedere più dentro alle cose… Ho capito che i poveri hanno un segreto che può cambiare la mia vita e aiutarmi a vedere. E’ con loro che mi avvicino a Cristo… è attraverso di loro che Gesù si avvicina a me!”».
Cosa ha suscitato in lei questa riflessione, questa capacità di mettersi completamente in discussione in un attimo?
«Non avevo mai visto la realtà con gli occhi di Bruno, così come a volte non vediamo la realtà con gli occhi dell’altro: alla fin dei conti può essere pericoloso! L’altro mi sconvolge i piani, mi dice chiaramente che la realtà che vivo e che sento è solo una parte dell’infinito mondo dentro al quale tutti insieme camminiamo. Ma per conoscere un po’ di più di questo grande cielo di umanità, ho bisogno di diventare più uomo vivendo e accogliendo l’altro come immagine e presenza di Dio che vuole fare strada con me. Forse è un problema di cecità? Chiaramente non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. I segni e le provocazioni non mancano».
La settimana che comincia è legata all’impegno dell’incontro. C’è da imparare dai brasiliani sull’arte dell’incontrarsi? Cosa possono insegnarci nelle relazioni con gli altri, con i più deboli, con Dio?
«Per noi missionari camminare dentro a una realtà che non è nostra diventa una scuola di vita quotidiana: l’Incarnazione parte da qui. E’ potare, arrivare all’essenziale, ascoltare, accogliere, ma solo dopo aver imparato a lasciarsi accogliere da un popolo che, come i Brasiliani, da secoli ha cominciato a masticare parole come integrazione, accoglienza dello straniero, valorizzazione, inclusione sociale, e via di questo passo. Chiaramente sono verbi che si coniugano all’infinito, nel senso che rimane sempre una sfida. Ma la certezza che la vera povertà aumenta quando una società rimane cieca davanti alle opportunità offerte da nuove relazioni tra gente diversa, ci porta a chiedere al Signore “amante della vita” di liberarci quanto prima da questo “incubo”, per non ritrovarci sempre più ciechi, sordi e incapaci di tessere una storia nuova che la Provvidenza ha gia posto fra le nostre mani per un futuro più a misura di persona».

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