Esperienza di viaggio dei seminaristi della Facoltà telogica di Padova

Esperienza missionaria in Brasile

di Roberto Frigo                                               

Quest’estate, dal 30 giugno al 20 luglio, noi seminaristi del quinto anno abbiamo vissuto un’esperienza missionaria nella terra brasiliana dove operano alcuni sacerdoti diocesani come fidei donum. Prima di essere ordinati diaconi di una Chiesa particolare, è stato significativo vivere questa avventura che ci ha mostrato – ancora una volta – come la Chiesa superi i confini di un territorio e come la missionarietà ne sia un elemento costitutivo.

La ricchezza di ciò che abbiamo vissuto in quei giorni è difficile racchiuderla in poche battute, ma provo a darne qualche pennellata. Innanzitutto abbiamo incontrato una comunità presbiterale unita che ci ha accolto e fatti sentire a casa: sono stati molti i dialoghi tra di noi sulla pastorale, sull’essere prete e su come vivere il proprio ministero in terra di missione. Grazie a loro abbiamo avuto l’opportunità di entrare in diretto contatto con una realtà diversa di Chiesa: essere in due parroci per una parrocchia di 150.000 abitanti composta di 17 comunità ma con un gran numero di ministri laici è un po’ differente rispetto a ciò che viviamo qui a Padova! E sentirsi dire da quelle persone che in Italia ci sono troppi preti, ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva…  

Oltre a ciò, abbiamo avuto occasione di incontrare alcune associazioni che operano a favore dei più poveri. Casa do Menor ad esempio, ha un centro di formazione per minori e qualche casa di accoglienza per bambini rifiutati dai genitori, per coloro che hanno disturbi mentali, o per chi desidera guarire dalla tossicodipendenza. Abbiamo poi incontrato suor Amelia – italiana – che è la responsabile di un ambulatorio medico dove si dà la possibilità anche ai più poveri di essere curati attraverso medicine ricavate da alcune piante. Inoltre abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con i meninos de rua, cioè i ragazzi costretti a vivere sulla strada perché abbandonati dalla famiglia o perché scappati di casa. Stare una mattina in mezzo a loro è stato “particolare”: non sono giovani con i quali siamo abituati ad operare nelle nostre esperienze pastorali, ma essere lì con loro e tra loro vedendo come sono costretti a passare le giornate e come non abbiano occasioni di crescere culturalmente è stata un’esperienza forte che ci siamo portati a casa. E lo stesso possiamo dire per quanto riguarda la visita che abbiamo fatto all’interno di alcune favelas: passare per quelle strade, vedere dove vivono e come vivono, incrociare quei visi e quegli sguardi non lascia indifferenti.

È questa una faccia del Brasile! Una faccia segnata dal dolore e per certi versi anche “aggressiva”, cioè difficile, sofferente. A fianco di tutto ciò però, abbiamo notato e apprezzato anche tutta la bellezza naturale che vi è racchiusa: se ci si allontana un po’ dalle distese di cemento armato che dominano su Rio di Janeiro e periferia, si possono scorgere dei parchi naturali senza paragoni. Inoltre non può non esserci saltata all’occhio la calorosa accoglienza riservataci da ogni comunità che abbiamo visitato, l’allegria del vedersi e la gioia dello stringersi la mano. Infine, l’essere stati lì proprio nel tempo dei Mondiali, ci ha fatto toccare con mano quanto i brasiliani siano amanti del calcio.

Al termine di un’esperienza così variegata, si può tracciare un piccolo bilancio con qualche considerazione preziosa. L’incontro con un’altra cultura mette a disagio, scardina certezze e fa porre domande impegnative. Andare verso l’altro, incontrarlo, entrare in dialogo con lui e cercare di comprenderlo è molto più difficile rispetto che qui in Italia dove, bene o male, tutti possiamo avere un background comune. Non si tratta semplicemente di essere presenti ad un appuntamento programmato, ma si tratta di preparare prima il proprio cuore, aprendolo al desiderio profondo di incontro e di intimità. È necessario “destrutturare le strutture mentali” che ci portiamo dietro per incontrare l’altro all’interno delle sue strutture mentali e del suo linguaggio, amandolo così com’è. E questo credo sia una cosa difficile per tutti.    

Inoltre, dopo questo viaggio, credo che anche la preghiera del Padre Nostro possa assumere un volto nuovo: nel chiamare Dio con il nome di Padre e nel riconoscermi fratello, non posso più dimenticarmi di questi fratelli più bisognosi.

Cosa resterà di questa esperienza? «Beh – dice don Matteo – se quando sarete diaconi e preti, sentendo nominare il Brasile sentirete che il cuore batte un po’ di più e vi verranno in mente luoghi e volti, forse a qualcosa sarà servito». È questa la speranza e l’augurio che ci facciamo.

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